Un nuovo rapporto firmato dagli scienziati più autorevoli del Paese rilancia la corsa verso il pianeta rosso: l’obiettivo non è solo tecnologico, ma profondamente scientifico.

Mandare esseri umani su Marte non è solo un’impresa da film di fantascienza. Richiederà decenni di impegno e investimenti miliardari, ma secondo la comunità scientifica statunitense, vale ogni sforzo. Lo afferma un nuovo rapporto pubblicato il 9 dicembre, intitolato Una strategia scientifica per l’esplorazione umana di Marte, che mette nero su bianco una verità affascinante: esplorare il pianeta rosso è il passo decisivo per capire se siamo soli nell’universo.
“La risposta alla domanda ‘siamo soli?’ sarà sempre ‘forse’, a meno che non si trasformi in un sì”, ha spiegato Dava Newman, docente al MIT e co-presidente del comitato che ha redatto il documento. Il rapporto, frutto di due anni di lavoro e oltre 200 pagine di analisi, è stato realizzato dalle National Academies of Sciences statunitensi, con il contributo di figure chiave come Linda T. Elkins-Tanton, direttrice del Laboratorio di scienze spaziali dell’Università della California, Berkeley.
Le missioni su Marte: perché servono gli esseri umani
Finora, Marte è stato esplorato da robot e sonde, ma secondo gli esperti è arrivato il momento di coinvolgere direttamente l’essere umano. Non si tratta solo di esplorazione, ma di scienza in senso puro. Il documento individua 11 priorità scientifiche fondamentali per le prime missioni umane, dalla ricerca di tracce biologiche allo studio delle condizioni ambientali che potrebbero influenzare la vita – umana, animale e vegetale – su lungo periodo.
Tra gli obiettivi spiccano l’analisi delle tempeste di sabbia marziane, lo studio dei cicli di carbonio e acqua, ma anche la valutazione degli effetti delle radiazioni e della polvere sul corpo umano e sulle attrezzature. Particolare attenzione viene data all’esplorazione in situ: gli astronauti dovranno sfruttare risorse locali come l’acqua e sviluppare carburanti direttamente sul pianeta. Una sfida logistica e scientifica che apre nuovi scenari per l’esplorazione spaziale a lungo termine.

Verso la prima missione umana: lo scenario previsto
Il piano più realistico per portare l’uomo su Marte prevede un primo sbarco di 30 giorni, seguito da una missione di 300 giorni supportata da rifornimenti automatizzati. Il tutto avverrebbe in un’area esplorativa ristretta, ampia circa 100 chilometri, con caratteristiche geologiche particolari come antiche colate laviche e frequenti tempeste di sabbia. Una zona selezionata non solo per la sua accessibilità, ma per il suo potenziale scientifico.
Questa pianificazione si inserisce in un contesto politico e tecnologico in rapida evoluzione: il Senato statunitense è chiamato a confermare Jared Isaacman alla guida della NASA, mentre SpaceX e Blue Origin proseguono nello sviluppo di sistemi di trasporto spaziale riutilizzabili. Le condizioni per una missione umana sembrano maturare, ma c’è ancora una questione cruciale da affrontare: la protezione planetaria.
Esplorare senza contaminare: il futuro della scienza interplanetaria
Il principio della protezione planetaria impone di evitare contaminazioni biologiche reciproche tra la Terra e Marte. La NASA, in collaborazione con il Comitato internazionale per la ricerca spaziale, lavora a linee guida sempre più rigorose per proteggere le regioni marziane che potrebbero ospitare forme di vita. Alcune zone saranno dunque precluse all’esplorazione, per preservarne l’integrità scientifica.
“Sta diventando realtà. Possiamo arrivarci. Decenni fa non avevamo le tecnologie”, ha affermato ancora Newman. Il rapporto sottolinea che la presenza umana sul pianeta aprirebbe nuove possibilità di studio e accelererebbe le scoperte in modi che i robot da soli non possono garantire. “Siamo su Marte da 50 anni”, ha ricordato Elkins-Tanton. “Portandoci anche gli esseri umani, avremmo un’enorme opportunità.” Ed è proprio questo, forse, il senso più profondo dell’intera missione: portare l’umanità dove la scienza ha già spianato la strada.

